Intelligenza artificiale e propaganda: perché le fake news diventano virali?

L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando il modo in cui la propaganda politica si diffonde, rendendo ancora più semplice manipolare la realtà e creare contenuti che catturano l’attenzione e si diffondono viralmente. L’articolo di Giulio Cavalli, pubblicato su Left1, denuncia come alcune forze politiche, in particolare la destra italiana, stiano utilizzando immagini generate dall’IA per alimentare paure e pregiudizi, sfruttando una strategia precisa di manipolazione sociale.

Ma perché questi contenuti funzionano così bene? Il sociologo e esperto di marketing Jonah Berger, nel suo libro Contagioso. Perché un’idea e un prodotto hanno successo e si diffondono2, individua sei principi che spiegano perché certi contenuti si diffondono rapidamente. Analizzando la strategia descritta nell’articolo attraverso il lavoro di Berger, emergono alcune dinamiche chiave:

  1. Valuta sociale: Condividere immagini “scandalose” o “allarmanti” fa sentire gli utenti informati e rilevanti, rafforzando la propria identità politica.
  2. Stimoli: Le immagini si legano a temi sempre presenti nel dibattito pubblico, come immigrazione e identità culturale, funzionando come “promemoria” che spingono alla condivisione.
  3. Emozioni: Contenuti che suscitano rabbia o paura generano maggiore engagement, spingendo le persone ad agire e condividere.
  4. Visibilità pubblica: La standardizzazione estetica della propaganda (colori cupi, toni apocalittici) crea un marchio visivo riconoscibile, facilitando la diffusione.
  5. Valore pratico: Anche le fake news appaiono utili per chi le condivide, spesso come “avvertimenti” contro presunte minacce.
  6. Storie: Le immagini e i messaggi sono inseriti in narrazioni coinvolgenti che rafforzano una visione polarizzata del mondo.

La combinazione di questi fattori rende i contenuti generati dall’IA strumenti potentissimi di propaganda, capaci di sfruttare le vulnerabilità psicologiche e sociali degli utenti. Il risultato? Una realtà distorta, creata ad arte, che si sovrappone alla realtà vera, offuscandola.

Cosa possiamo fare?
Diventa essenziale promuovere strumenti di educazione digitale, incentivare il fact-checking e soprattutto sviluppare una consapevolezza critica sui meccanismi che rendono certi contenuti irresistibili. Solo comprendendo perché le fake news “attaccano” possiamo iniziare a difenderci.


Conclusione

L’IA può essere un megafono per la disinformazione, ma comprendere le strategie di viralità che la alimentano è il primo passo per smascherarne i pericoli. Come comunità, dobbiamo impegnarci a riconoscere e combattere queste dinamiche, costruendo un dialogo informato e basato su dati reali.

  1. Giulio Cavalli, L’intelligenza artificiale, il nuovo megafono della destra italiana, left.it, <https://left.it/2024/11/26/lintelligenza-artificiale-il-nuovo-megafono-della-destra-italiana/> ↩︎
  2. Jonah Berger, Contagioso. Perché un’idea e un prodotto hanno successo e si diffondono, ROI Edizioni, 2022 ↩︎

Genocidio, tabù e realtà: riflessioni su un’accusa difficile da pronunciare (parte 2)

Il ruolo della società civile e l’immaginario collettivo

Un altro aspetto chiave del pensiero di Semelin è il ruolo della società civile. I genocidi non sono opera esclusiva delle élite politiche o militari; coinvolgono la popolazione, che può agire come complice attiva o passiva.

Complicità sociale

In molti genocidi, la società civile partecipa alla violenza, o almeno la tollera. Questo è possibile perché la propaganda crea un consenso attorno all’idea che l’eliminazione del gruppo target sia necessaria per la sopravvivenza della comunità. Nel caso di Gaza, è importante interrogarsi su come le narrazioni globali ed interne influenzino le percezioni delle popolazioni coinvolte.

Il tabù del genocidio

Come sottolineato da Anna Foa, il termine “genocidio” è spesso considerato troppo carico di implicazioni morali e politiche per essere usato facilmente. Tuttavia, la riluttanza a usare questa parola può impedire un’analisi critica e tempestiva delle violenze in corso. Semelin ci ricorda che i genocidi non avvengono solo nei tribunali della Storia, ma si costruiscono giorno per giorno, attraverso azioni e omissioni.

Un messaggio universale: il genocidio come prodotto umano

Infine, Semelin ci invita a vedere il genocidio come un prodotto delle dinamiche umane, non come un evento eccezionale. Questo approccio ci consente di superare la tentazione di considerare il genocidio come qualcosa di alieno o irrazionale, attribuendolo solo a “mostri” o regimi totalitari. Il genocidio è un fenomeno sociale e culturale, che nasce dalle stesse dinamiche che regolano la vita quotidiana: le relazioni di potere, le identità collettive e la paura dell’altro.

Iinterrogarsi oggi

Il Papa, Anna Foa e Jacques Semelin ci offrono prospettive diverse ma complementari. Sollevare la questione del genocidio non significa necessariamente accusare, ma piuttosto invitare alla riflessione e alla vigilanza. In un mondo sempre più polarizzato, le parole contano: possono essere strumenti di pace o armi di distruzione.

Il nostro compito, come cittadini e studiosi, è quello di analizzare criticamente le dinamiche sociali e politiche che possono condurre alla violenza di massa, ricordando che prevenire il genocidio significa riconoscerne i segni prima che sia troppo tardi.

(parte 1)

Genocidio, tabù e realtà: riflessioni su un’accusa difficile da pronunciare (parte 1)

Il genocidio come tema attuale e controverso

Di recente, Papa Francesco ha sollevato una questione di enorme delicatezza, proponendo di indagare se quanto accade a Gaza possa essere considerato un genocidio. Le sue parole, contenute nel libro La speranza non delude mai, hanno suscitato forti reazioni. Da una parte, l’Ambasciata israeliana presso la Santa Sede ha risposto con fermezza, ricordando che il massacro del 7 ottobre è stato il vero atto genocida. Dall’altra, la storica Anna Foa ha accolto positivamente l’intervento del Papa 1, evidenziando come il termine “genocidio” sia un tabù in Israele, anche tra i più critici verso il governo.

La questione del genocidio è al centro di un dibattito che coinvolge storici, sociologi e studiosi di scienze politiche. Come definire e riconoscere un genocidio? E quali sono le implicazioni morali e politiche di questa accusa?

Per rispondere a queste domande, è utile ricorrere al pensiero di Jacques Semelin, studioso di genocidi e massacri di massa, che ha fornito strumenti teorici per analizzare fenomeni di questo tipo senza semplificazioni ideologiche o morali.

Genocidio: un processo, non un evento improvviso

Semelin, nel suo libro Purficare e distruggere 2, sottolinea che il genocidio è un processo sociale graduale. Non è un’esplosione improvvisa di violenza, ma un fenomeno che si sviluppa in più fasi, spesso in risposta a crisi politiche, economiche o militari. Questa visione può aiutarci a comprendere la complessità di quanto avviene in contesti di conflitto, come quello israelo-palestinese.

La separazione tra “noi” e “loro”

Il genocidio inizia con la costruzione di un’alterità radicale. Attraverso propaganda e retoriche politiche, il gruppo bersaglio viene identificato come nemico, contaminante o pericoloso. Nel caso di Gaza, la retorica politica e mediatica contribuisce a rafforzare questa divisione, attribuendo responsabilità collettive e giustificando interventi militari come atti di autodifesa.

Deumanizzazione

Una delle fasi centrali del genocidio è la deumanizzazione del gruppo target. Questo processo trasforma le persone in categorie simboliche (terroristi, parassiti, nemici), rendendo accettabile la violenza contro di loro. Semelin ci invita a riflettere su come il linguaggio utilizzato dai leader politici e dai media possa favorire questa dinamica.

Escalation verso la distruzione fisica

La distruzione fisica di un gruppo, secondo Semelin, non è mai un atto spontaneo. Richiede pianificazione, organizzazione e complicità sociale. Anche nei contesti contemporanei, è necessario analizzare in che misura le istituzioni e la società civile contribuiscano a perpetuare o fermare la violenza.

Continua – parte 2

  1. Anna Maria Brogi, Foa: Genocidio? Parola tabù in Israele. Bene che il Papa l’abbia pronunciata, avvenire.it, visitato il 18 novembre 2024, <https://www.avvenire.it/mondo/pagine/l-intervista-una-parola-tabu-che-non-risuona-in-is> ↩︎
  2. Jacques Sémelin, Purificare e distruggere. Usi politici dei massacri e dei genocidi, Einaudi, Torino, 2007 ↩︎

La disillusione elettorale e la teoria di Roberto Michels: uno sguardo sociologico

Negli ultimi anni il calo dell’affluenza elettorale è diventato un trend sempre più evidente. Perché sempre meno cittadini si recano alle urne? Un’utile chiave di lettura è offerta da Roberto Michels e dalla sua celebre Sociologia del partito politico1, che introduce la “legge ferrea dell’oligarchia”.

La legge ferrea dell’oligarchia

Secondo Michels, tutti i partiti politici, anche quelli fondati su principi democratici, tendono inevitabilmente a trasformarsi in organizzazioni oligarchiche. Questo avviene perché:

– La complessità organizzativa richiede una leadership permanente.

– I leader, col tempo, acquisiscono il controllo delle risorse e delle decisioni, distanziandosi dalla base.

– Le masse tendono a delegare passivamente, consolidando il potere delle élite.

Le implicazioni per l’affluenza elettorale

Questa dinamica oligarchica offre una spiegazione al fenomeno della disillusione elettorale:

1. Distacco tra élite e cittadini 

   Gli elettori percepiscono i leader dei partiti come distanti e più interessati al mantenimento del proprio potere che alla rappresentanza degli interessi collettivi. Questo genera una perdita di fiducia e motivazione al voto.  

2. Percezione di inutilità del voto 

   Se il potere è concentrato nelle mani di pochi e i partiti sembrano simili nelle loro proposte, molti cittadini possono ritenere che votare non abbia un reale impatto.

3. Partiti conservatori di fatto 

   Michels sottolinea che i partiti tendono a conservare lo status quo per preservare se stessi, perdendo la capacità di rappresentare le istanze di cambiamento richieste dalle fasce più giovani e marginalizzate.

4. Alienazione e apatia politica 

   Le élite partitiche, interessate a perpetuare il proprio potere, possono allontanare i cittadini più critici, che finiscono per sentirsi esclusi dai processi decisionali.

Un sistema in crisi?

La bassa affluenza elettorale può essere letta come un sintomo di una più ampia crisi di legittimità. Se i cittadini percepiscono la democrazia rappresentativa come un processo formale, incapace di rispondere ai bisogni reali, il sistema politico stesso viene messo in discussione.

Ripensare la partecipazione politica

Per invertire il trend del disinteresse elettorale, è necessario:

– Recuperare un rapporto autentico tra partiti e cittadini.

– Promuovere una maggiore partecipazione diretta nei processi decisionali.

– Riformare i meccanismi interni dei partiti per ridurre la concentrazione del potere.

La teoria di Michels ci invita a riflettere su come le dinamiche interne ai partiti influenzino il comportamento elettorale e sulla necessità di riscoprire nuove forme di partecipazione per restituire vitalità alla democrazia.

  1. Michels Roberto, La sociologia del partito politico nella democrazia moderna, Il Mulino, Bologna, 1966 ↩︎

Giovani e solidarietà: l’arte dell’essere insieme secondo Richard Sennett

Le immagini di giovani italiani che spalano fango a Valencia, raccontate dall’articolo di Repubblica1, sono un esempio vivido di come la cooperazione sia un elemento fondamentale per affrontare le sfide collettive. Questi ragazzi, molti dei quali studenti Erasmus, si sono messi al servizio di una comunità colpita dall’alluvione, dimostrando che la solidarietà non conosce confini geografici.

Ma cosa ci dice la sociologia sulla cooperazione? Richard Sennett, nel suo libro Insieme2, ci aiuta a comprendere meglio il significato profondo di queste azioni. Egli descrive la cooperazione come un’arte che va oltre il semplice aiuto: è una capacità complessa, che si apprende e si pratica, e che si fonda sull’ascolto, sull’empatia e sulla valorizzazione delle differenze.

Il dialogo oltre le parole

Come sottolinea Sennett, la cooperazione non avviene solo attraverso il linguaggio verbale, ma anche tramite azioni concrete e segnali emotivi. Spalare fango insieme, aiutare chi ha perso tutto, diventa una forma di comunicazione profonda, che trasmette solidarietà e costruisce legami di fiducia. Questi giovani hanno dimostrato che, di fronte alla crisi, il dialogo può trasformarsi in azione, rompendo le barriere tra estranei e creando una comunità di intenti.

La valorizzazione delle differenze

Un altro punto centrale di Insieme è l’importanza di riconoscere e integrare le differenze. I giovani italiani che si sono uniti alla popolazione locale hanno affrontato non solo una barriera linguistica e culturale, ma anche le diverse modalità con cui ciascuno viveva l’emergenza. Eppure, proprio queste differenze sono state la forza del loro operato: l’unione di energie, competenze e prospettive ha permesso di affrontare il disastro in modo più efficace.

La cooperazione come abilità appresa

Sennett osserva che la cooperazione è un’abilità che si sviluppa attraverso esperienze pratiche. Questi giovani, molti dei quali già impegnati in reti internazionali come l’Erasmus, hanno probabilmente interiorizzato l’idea di lavorare insieme e sostenersi reciprocamente, grazie alla loro esposizione a contesti multiculturali. Le loro azioni dimostrano che, se incoraggiata e coltivata, la cooperazione può fiorire anche nelle situazioni più difficili.

La solidarietà come risposta alla frammentazione sociale

In un’epoca spesso caratterizzata dall’individualismo e dalla frammentazione, episodi come questo rappresentano un esempio concreto di come la solidarietà possa ricostruire legami sociali. Richard Sennett ci ricorda che la cooperazione è fragile e richiede un impegno continuo per essere mantenuta. Questi giovani ci insegnano che, nonostante le difficoltà, è possibile andare oltre l’egoismo e lavorare insieme per il bene comune.

In conclusione

L’alluvione a Valencia e la risposta dei giovani volontari, come avvenuto in tante altre situazioni di alluvioni o terremoti, ci mostrano che l’arte dell’essere insieme, come descritta da Sennett, non è un’utopia, ma una realtà tangibile. È una lezione per tutti noi, un invito a praticare la cooperazione non solo nelle emergenze, ma anche nella vita quotidiana. In un mondo sempre più interconnesso, la solidarietà non è solo un atto altruistico, ma una necessità per costruire una società più equa e resiliente.

  1. Corrado Zunino, Alluvione di Valencia, tra i giovani italiani che spalano il fango: “Basta con le bugie sulla generazione pigra” <https://www.repubblica.it/esteri/2024/11/07/news/alluvione_valencia_giovani_italiani_spalano_fango_interviste-423602881/> ↩︎
  2. Richiard Sennet, Insieme – Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, Gianfranco Feltrinelli Editore, Milano, 2014 ↩︎