Genocidio, tabù e realtà: riflessioni su un’accusa difficile da pronunciare (parte 2)

Il ruolo della società civile e l’immaginario collettivo

Un altro aspetto chiave del pensiero di Semelin è il ruolo della società civile. I genocidi non sono opera esclusiva delle élite politiche o militari; coinvolgono la popolazione, che può agire come complice attiva o passiva.

Complicità sociale

In molti genocidi, la società civile partecipa alla violenza, o almeno la tollera. Questo è possibile perché la propaganda crea un consenso attorno all’idea che l’eliminazione del gruppo target sia necessaria per la sopravvivenza della comunità. Nel caso di Gaza, è importante interrogarsi su come le narrazioni globali ed interne influenzino le percezioni delle popolazioni coinvolte.

Il tabù del genocidio

Come sottolineato da Anna Foa, il termine “genocidio” è spesso considerato troppo carico di implicazioni morali e politiche per essere usato facilmente. Tuttavia, la riluttanza a usare questa parola può impedire un’analisi critica e tempestiva delle violenze in corso. Semelin ci ricorda che i genocidi non avvengono solo nei tribunali della Storia, ma si costruiscono giorno per giorno, attraverso azioni e omissioni.

Un messaggio universale: il genocidio come prodotto umano

Infine, Semelin ci invita a vedere il genocidio come un prodotto delle dinamiche umane, non come un evento eccezionale. Questo approccio ci consente di superare la tentazione di considerare il genocidio come qualcosa di alieno o irrazionale, attribuendolo solo a “mostri” o regimi totalitari. Il genocidio è un fenomeno sociale e culturale, che nasce dalle stesse dinamiche che regolano la vita quotidiana: le relazioni di potere, le identità collettive e la paura dell’altro.

Iinterrogarsi oggi

Il Papa, Anna Foa e Jacques Semelin ci offrono prospettive diverse ma complementari. Sollevare la questione del genocidio non significa necessariamente accusare, ma piuttosto invitare alla riflessione e alla vigilanza. In un mondo sempre più polarizzato, le parole contano: possono essere strumenti di pace o armi di distruzione.

Il nostro compito, come cittadini e studiosi, è quello di analizzare criticamente le dinamiche sociali e politiche che possono condurre alla violenza di massa, ricordando che prevenire il genocidio significa riconoscerne i segni prima che sia troppo tardi.

(parte 1)

Genocidio, tabù e realtà: riflessioni su un’accusa difficile da pronunciare (parte 1)

Il genocidio come tema attuale e controverso

Di recente, Papa Francesco ha sollevato una questione di enorme delicatezza, proponendo di indagare se quanto accade a Gaza possa essere considerato un genocidio. Le sue parole, contenute nel libro La speranza non delude mai, hanno suscitato forti reazioni. Da una parte, l’Ambasciata israeliana presso la Santa Sede ha risposto con fermezza, ricordando che il massacro del 7 ottobre è stato il vero atto genocida. Dall’altra, la storica Anna Foa ha accolto positivamente l’intervento del Papa 1, evidenziando come il termine “genocidio” sia un tabù in Israele, anche tra i più critici verso il governo.

La questione del genocidio è al centro di un dibattito che coinvolge storici, sociologi e studiosi di scienze politiche. Come definire e riconoscere un genocidio? E quali sono le implicazioni morali e politiche di questa accusa?

Per rispondere a queste domande, è utile ricorrere al pensiero di Jacques Semelin, studioso di genocidi e massacri di massa, che ha fornito strumenti teorici per analizzare fenomeni di questo tipo senza semplificazioni ideologiche o morali.

Genocidio: un processo, non un evento improvviso

Semelin, nel suo libro Purficare e distruggere 2, sottolinea che il genocidio è un processo sociale graduale. Non è un’esplosione improvvisa di violenza, ma un fenomeno che si sviluppa in più fasi, spesso in risposta a crisi politiche, economiche o militari. Questa visione può aiutarci a comprendere la complessità di quanto avviene in contesti di conflitto, come quello israelo-palestinese.

La separazione tra “noi” e “loro”

Il genocidio inizia con la costruzione di un’alterità radicale. Attraverso propaganda e retoriche politiche, il gruppo bersaglio viene identificato come nemico, contaminante o pericoloso. Nel caso di Gaza, la retorica politica e mediatica contribuisce a rafforzare questa divisione, attribuendo responsabilità collettive e giustificando interventi militari come atti di autodifesa.

Deumanizzazione

Una delle fasi centrali del genocidio è la deumanizzazione del gruppo target. Questo processo trasforma le persone in categorie simboliche (terroristi, parassiti, nemici), rendendo accettabile la violenza contro di loro. Semelin ci invita a riflettere su come il linguaggio utilizzato dai leader politici e dai media possa favorire questa dinamica.

Escalation verso la distruzione fisica

La distruzione fisica di un gruppo, secondo Semelin, non è mai un atto spontaneo. Richiede pianificazione, organizzazione e complicità sociale. Anche nei contesti contemporanei, è necessario analizzare in che misura le istituzioni e la società civile contribuiscano a perpetuare o fermare la violenza.

Continua – parte 2

  1. Anna Maria Brogi, Foa: Genocidio? Parola tabù in Israele. Bene che il Papa l’abbia pronunciata, avvenire.it, visitato il 18 novembre 2024, <https://www.avvenire.it/mondo/pagine/l-intervista-una-parola-tabu-che-non-risuona-in-is> ↩︎
  2. Jacques Sémelin, Purificare e distruggere. Usi politici dei massacri e dei genocidi, Einaudi, Torino, 2007 ↩︎