Rischi politici e sociali nella società globale: il caso dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente

“Nella società del rischio, diventiamo consapevoli del fatto che la sicurezza assoluta è un’illusione, e che il tentativo di creare una sicurezza totale può generare nuovi pericoli. In un mondo globalizzato, i rischi non conoscono confini.” Ulrich Beck

Nel contesto della società del rischio descritta da Ulrich Beck1, i rischi politici e sociali giocano un ruolo cruciale nella gestione delle crisi globali. Le guerre e i conflitti, in particolare, rappresentano una forma di rischio amplificato dalla globalizzazione, dove le decisioni di una singola nazione possono avere ripercussioni su scala planetaria. Gli attuali conflitti tra Russia e Ucraina e tra Israele e Hamas sono esempi emblematici di come il rischio politico e sociale non solo colpisca direttamente le popolazioni locali, ma abbia anche implicazioni globali.

Crisi di fiducia nelle istituzioni e gestione dei conflitti

Secondo Beck, una delle caratteristiche della società del rischio è la crisi di fiducia nelle istituzioni politiche, spesso incapaci di prevenire o risolvere conflitti complessi e transnazionali. Questo fenomeno è evidente nel contesto della guerra in Ucraina e nel conflitto israelo-palestinese.

  • Nel caso della guerra tra Russia e Ucraina, l’invasione russa del 2022 ha scatenato una crisi internazionale di ampia portata. Le istituzioni internazionali, come l’ONU, l’UE e la NATO, si sono dimostrate limitate nel prevenire il conflitto e nel gestirne le conseguenze. La stessa Russia ha sfidato le norme internazionali, mettendo in discussione il ruolo degli organismi multilaterali nella risoluzione dei conflitti.
  • Allo stesso modo, nel conflitto tra Israele e Hamas, assistiamo a una situazione in cui le istituzioni internazionali faticano a promuovere una risoluzione duratura. La sfiducia diffusa sia a livello regionale che internazionale ha complicato gli sforzi diplomatici, mentre le tensioni aumentano non solo tra i protagonisti diretti, ma anche tra le potenze internazionali coinvolte.

Rischio come strumento di potere

Beck analizza anche come i rischi vengano spesso strumentalizzati politicamente. Nel contesto dei conflitti in Ucraina e Medio Oriente, i governi e le parti in causa utilizzano la percezione del rischio come leva per mantenere o estendere il proprio potere.

  • La Russia ha giustificato la sua invasione come una forma di “protezione” contro l’espansione della NATO, dipingendo l’Occidente come una minaccia esistenziale. In questo caso, il rischio politico e militare è stato utilizzato per giustificare un’azione bellica e consolidare il potere interno.
  • Nel conflitto tra Israele e Hamas, il rischio del terrorismo e della violenza viene sfruttato sia da Hamas che dal governo israeliano. Hamas presenta le sue azioni come una resistenza all’occupazione, mentre Israele giustifica le operazioni militari in risposta agli attacchi come necessarie per la sicurezza nazionale. Entrambe le parti utilizzano il rischio percepito per legittimare il loro potere e le loro azioni militari, a scapito di una soluzione pacifica.

Disuguaglianza nell’esposizione ai rischi

Un tema chiave di Beck è la distribuzione diseguale dei rischi all’interno delle società. Nei conflitti in corso, questa disuguaglianza è evidente sia a livello nazionale che internazionale.

  • In Ucraina, la popolazione civile è stata colpita in modo sproporzionato dagli effetti devastanti della guerra, dalle perdite di vite umane alla distruzione delle infrastrutture. Molte aree urbane sono diventate teatri di battaglia, lasciando le persone comuni a pagare il prezzo più alto. Mentre l’élite politica e militare è in gran parte protetta, le persone comuni affrontano il rischio quotidiano della violenza e della perdita delle loro case.
  • Allo stesso modo, nel conflitto tra Israele e Hamas, i civili di entrambe le parti, sia israeliani che palestinesi, subiscono le conseguenze più gravi. I palestinesi, in particolare, vivono in condizioni di vulnerabilità estrema, esposti non solo agli attacchi diretti, ma anche alle conseguenze dell’assedio di Gaza, come la mancanza di accesso ai beni di prima necessità e alle cure mediche. Una commissione di inchiesta delle Nazioni Unite ha accusato lo stato ebraico di sterminio.

Questa disuguaglianza nella gestione dei rischi non si limita ai confini nazionali, ma si riflette anche nel ruolo delle potenze internazionali. Ad esempio, mentre le nazioni occidentali forniscono supporto militare e diplomatico all’Ucraina e Israele, altre nazioni del mondo, in particolare nei paesi in via di sviluppo, subiscono gli effetti indiretti della guerra, come l’aumento dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari.

Politica del rischio e decisioni collettive

Nel contesto della società del rischio, le decisioni politiche riguardano non solo la distribuzione delle risorse, ma anche la distribuzione dei rischi. I governi devono prendere decisioni difficili su come affrontare i rischi transnazionali, come nel caso dei conflitti in corso.

  • Nel conflitto russo-ucraino, i paesi europei e la NATO hanno dovuto bilanciare il rischio di un confronto diretto con la Russia con la necessità di sostenere l’Ucraina. Questo ha portato a una politica di contenimento e di sostegno militare indiretto, per evitare il rischio di un’escalation nucleare o di un conflitto diretto tra Russia e Occidente.
  • Nella gestione del conflitto tra Israele e Hamas, le potenze regionali e internazionali devono fare i conti con i rischi associati a un’escalation del conflitto. Ogni intervento rischia di destabilizzare ulteriormente la regione e di alimentare nuove ondate di violenza. Le decisioni politiche in questo contesto sono spesso intrappolate in una logica di gestione dell’emergenza, piuttosto che in una prospettiva di lungo termine per la pace.

Nuove forme di governance e cooperazione internazionale

Beck propone che la gestione dei rischi globali richieda nuove forme di governance e una maggiore cooperazione internazionale. Questo è particolarmente rilevante nei conflitti attuali, dove le risposte nazionali sembrano insufficienti.

  • Nel caso della guerra in Ucraina, la risposta delle istituzioni internazionali, come l’ONU, è stata ampiamente criticata per la sua inefficacia. Tuttavia, l’esistenza di sanzioni economiche e misure diplomatiche dimostra la necessità di una governance globale più efficace per affrontare i conflitti armati.
  • Nel conflitto israelo-palestinese, la mancanza di una soluzione politica duratura richiede un approccio globale che coinvolga non solo le parti in conflitto, ma anche le principali potenze internazionali e regionali. Beck suggerisce che solo una governance multilaterale può affrontare i rischi a lungo termine, prevenendo ulteriori escalation di violenza.

Conclusione

I conflitti tra Russia e Ucraina e tra Israele e Hamas sono esempi emblematici di come i rischi politici e sociali nella società globale si intreccino, con conseguenze devastanti non solo per le popolazioni locali, ma anche per la stabilità internazionale. La gestione dei rischi globali richiede una cooperazione internazionale rafforzata e una nuova concezione della governance, in grado di affrontare le sfide transnazionali in modo più efficace e inclusivo. Le attuali istituzioni, pur svolgendo un ruolo importante, devono essere ripensate per adattarsi a un mondo in cui il rischio è globale e la sicurezza non può più essere garantita solo a livello nazionale.


  1. Ulrich Beck, La società del rischio, Carricci Editore, 2013 ↩︎

La religione come costruzione sociale: il caso degli ebrei e dello Stato di Israele

“La religione è il tentativo umano di costruire un ordine significativo, un nomos, che conferisca senso alla vita, alle esperienze, e all’universo stesso.” Peter L. Berger1

Secondo Peter Berger, la religione gioca un ruolo fondamentale nella costruzione della realtà sociale, conferendo significato, stabilità e legittimazione alle strutture della società. Tre concetti centrali nelle sue riflessioni — l’esternalizzazione e oggettivazione, la sacralizzazione e la legittimazione dell’ordine sociale — sono particolarmente utili per comprendere la situazione degli ebrei e la formazione dello Stato di Israele.

Esternalizzazione e oggettivazione: la costruzione dell’identità ebraica

La comunità ebraica ha esternalizzato le proprie credenze e pratiche religiose attraverso millenni di storia, trasformando queste credenze in una realtà oggettiva che è andata oltre l’esperienza individuale. La Torah, le festività ebraiche, e le tradizioni legate all’identità religiosa e culturale hanno dato forma a un’identità collettiva forte, anche nei secoli di diaspora. La oggettivazione di queste pratiche ha creato un senso di appartenenza a una comunità “reale” e tangibile, malgrado la mancanza di un territorio per molti secoli.

Il ritorno degli ebrei nella Terra d’Israele e la fondazione dello Stato di Israele nel 1948 rappresentano una fase ulteriore di questo processo. Il sionismo, movimento politico ebraico fondato alla fine del XIX secolo, ha esternalizzato l’idea di uno Stato ebraico come un “luogo reale” dove la comunità ebraica potesse finalmente oggettivare la propria identità nazionale, accanto a quella religiosa. In questo modo, Israele non è solo un’entità politica, ma anche una proiezione simbolica di un’identità religiosa e culturale.

Sacralizzazione: la Terra Promessa come parte dell’ordine sacro

Nel pensiero di Berger, la sacralizzazione è il processo attraverso il quale certi aspetti della realtà vengono elevati a una dimensione sacra e inviolabile. Per il popolo ebraico, la Terra d’Israele non è solo un territorio, ma un elemento sacro della propria tradizione religiosa. La Bibbia ebraica, e in particolare la narrazione dell’Esodo, descrive Israele come la Terra Promessa da Dio al popolo ebraico, legittimando così la relazione storica e religiosa tra gli ebrei e la terra.

Questo processo di sacralizzazione rende il legame tra gli ebrei e Israele qualcosa di più che un legame politico: è una parte intrinseca della costruzione della realtà sociale e religiosa ebraica. La sacralizzazione della terra contribuisce a rafforzare l’idea che Israele sia non solo una patria moderna, ma un elemento del disegno divino, il che ne rende difficile qualsiasi discussione esclusivamente politica o diplomatica.

Legittimazione dell’ordine sociale: Israele come Stato legittimato religiosamente

Berger sottolinea che la religione funge da meccanismo di legittimazione dell’ordine sociale, fornendo giustificazioni e norme che stabilizzano e rafforzano le strutture della società. Per molti ebrei, lo Stato di Israele è legittimato non solo dal diritto internazionale, ma anche da una legittimazione religiosa che deriva dalle promesse bibliche e dalla tradizione millenaria.

In questo contesto, la religione diventa un potente strumento per sostenere l’esistenza dello Stato e la sua missione. Anche nei momenti di crisi politica o di conflitti territoriali, il richiamo alla legittimità religiosa rafforza la coesione nazionale e la convinzione nella giustezza della causa ebraica. Tuttavia, ciò pone anche sfide significative, specialmente quando l’ordine sociale e religioso di Israele si scontra con altre narrazioni religiose e politiche, come nel caso del conflitto israelo-palestinese.

Conclusione

Le riflessioni di Peter Berger sul ruolo della religione nella costruzione sociale offrono una chiave di lettura utile per comprendere la storia e l’identità del popolo ebraico, così come il significato profondo dello Stato di Israele. L’esternalizzazione dell’identità ebraica attraverso i secoli, la sacralizzazione della Terra Promessa e la legittimazione religiosa dello Stato israeliano mostrano come la religione possa modellare non solo la vita spirituale, ma anche la realtà sociale e politica di una nazione.

  1. Peter L. Berger, The Sacred Canopy: Elements of a Sociological Theory of Religion (1967). ↩︎