La religione come costruzione sociale: il caso degli ebrei e dello Stato di Israele

“La religione è il tentativo umano di costruire un ordine significativo, un nomos, che conferisca senso alla vita, alle esperienze, e all’universo stesso.” Peter L. Berger1

Secondo Peter Berger, la religione gioca un ruolo fondamentale nella costruzione della realtà sociale, conferendo significato, stabilità e legittimazione alle strutture della società. Tre concetti centrali nelle sue riflessioni — l’esternalizzazione e oggettivazione, la sacralizzazione e la legittimazione dell’ordine sociale — sono particolarmente utili per comprendere la situazione degli ebrei e la formazione dello Stato di Israele.

Esternalizzazione e oggettivazione: la costruzione dell’identità ebraica

La comunità ebraica ha esternalizzato le proprie credenze e pratiche religiose attraverso millenni di storia, trasformando queste credenze in una realtà oggettiva che è andata oltre l’esperienza individuale. La Torah, le festività ebraiche, e le tradizioni legate all’identità religiosa e culturale hanno dato forma a un’identità collettiva forte, anche nei secoli di diaspora. La oggettivazione di queste pratiche ha creato un senso di appartenenza a una comunità “reale” e tangibile, malgrado la mancanza di un territorio per molti secoli.

Il ritorno degli ebrei nella Terra d’Israele e la fondazione dello Stato di Israele nel 1948 rappresentano una fase ulteriore di questo processo. Il sionismo, movimento politico ebraico fondato alla fine del XIX secolo, ha esternalizzato l’idea di uno Stato ebraico come un “luogo reale” dove la comunità ebraica potesse finalmente oggettivare la propria identità nazionale, accanto a quella religiosa. In questo modo, Israele non è solo un’entità politica, ma anche una proiezione simbolica di un’identità religiosa e culturale.

Sacralizzazione: la Terra Promessa come parte dell’ordine sacro

Nel pensiero di Berger, la sacralizzazione è il processo attraverso il quale certi aspetti della realtà vengono elevati a una dimensione sacra e inviolabile. Per il popolo ebraico, la Terra d’Israele non è solo un territorio, ma un elemento sacro della propria tradizione religiosa. La Bibbia ebraica, e in particolare la narrazione dell’Esodo, descrive Israele come la Terra Promessa da Dio al popolo ebraico, legittimando così la relazione storica e religiosa tra gli ebrei e la terra.

Questo processo di sacralizzazione rende il legame tra gli ebrei e Israele qualcosa di più che un legame politico: è una parte intrinseca della costruzione della realtà sociale e religiosa ebraica. La sacralizzazione della terra contribuisce a rafforzare l’idea che Israele sia non solo una patria moderna, ma un elemento del disegno divino, il che ne rende difficile qualsiasi discussione esclusivamente politica o diplomatica.

Legittimazione dell’ordine sociale: Israele come Stato legittimato religiosamente

Berger sottolinea che la religione funge da meccanismo di legittimazione dell’ordine sociale, fornendo giustificazioni e norme che stabilizzano e rafforzano le strutture della società. Per molti ebrei, lo Stato di Israele è legittimato non solo dal diritto internazionale, ma anche da una legittimazione religiosa che deriva dalle promesse bibliche e dalla tradizione millenaria.

In questo contesto, la religione diventa un potente strumento per sostenere l’esistenza dello Stato e la sua missione. Anche nei momenti di crisi politica o di conflitti territoriali, il richiamo alla legittimità religiosa rafforza la coesione nazionale e la convinzione nella giustezza della causa ebraica. Tuttavia, ciò pone anche sfide significative, specialmente quando l’ordine sociale e religioso di Israele si scontra con altre narrazioni religiose e politiche, come nel caso del conflitto israelo-palestinese.

Conclusione

Le riflessioni di Peter Berger sul ruolo della religione nella costruzione sociale offrono una chiave di lettura utile per comprendere la storia e l’identità del popolo ebraico, così come il significato profondo dello Stato di Israele. L’esternalizzazione dell’identità ebraica attraverso i secoli, la sacralizzazione della Terra Promessa e la legittimazione religiosa dello Stato israeliano mostrano come la religione possa modellare non solo la vita spirituale, ma anche la realtà sociale e politica di una nazione.

  1. Peter L. Berger, The Sacred Canopy: Elements of a Sociological Theory of Religion (1967). ↩︎

One man’s terrorist is another man’s freedom fighter

La definizione di “terrorismo” è profondamente legata alla prospettiva da cui si osserva un conflitto. Le azioni violente possono essere interpretate come atti di terrore o come lotta per la libertà, a seconda di chi ne è spettatore e dei valori in gioco. Andrea Salvatore (2019) analizza come la violenza possa essere strumentalizzata per fini politici, mostrando che la linea tra combattenti per la libertà e terroristi è spesso sfumata. Similmente, Antonio Cerella (2009) mette in luce la difficoltà di tracciare una netta distinzione tra terrorismo e resistenza legittima.

La scelta tra autorità e libertà

Max Weber osserva: «Nessuna etica del mondo può prescindere dal fatto che il raggiungimento di fini “buoni” è il più delle volte accompagnato dall’uso di mezzi sospetti o per lo meno pericolosi… ciò vale in modo particolare per chi combatta per una fede, tanto religiosa quanto rivoluzionaria». Questa riflessione ci invita a considerare come l’uso della violenza possa assumere significati diversi a seconda del contesto.

Anche Hannah Arendt ci mette in guardia: «La sostanza stessa dell’azione violenta è governata dalla categoria mezzi-fine, la cui caratteristica principale, se applicata agli affari umani, è sempre stata che il fine corre il pericolo di venire sopraffatto dai mezzi che esso giustifica» (Arendt, 1970). Questo ci ricorda quanto sia complesso bilanciare gli obiettivi e i mezzi utilizzati per raggiungerli.

Il dibattito su chi debba essere considerato terrorista o combattente per la libertà continua a essere attuale, sfidandoci a riflettere sui confini della giustizia e dell’etica in situazioni di conflitto.

Fonti:

  • Salvatore, Andrea (2019). Violenza, terrore, politica: per una definizione del concetto di terrorismo.
  • Cerella, Antonio (2009). Terrorismo: storia e analisi di un concetto. Trasgressioni, 49(3), 41-59.
  • Arendt, Hannah (1970). On Violence. Tr. it. Sulla violenza, Parma, Guanda, 1996.
  • Max Weber (1919), La politica come professione, Armando Editore, 1997